Formaggio misto pecora fresco dei Berici

Il Formaggio misto pecora fresco dei Berici è un prodotto agroalimentare tradizionale P.A.T della regione Veneto tipico della provincia di Vicenza

Categoria
Formaggi

Nome del prodotto, compresi sinonimi e termini dialettali
Formaggio misto pecora fresco dei Berici.

Territorio interessato alla produzione
Attualmente si produce, attraverso allevamenti stanziali, nei Comuni di Mossano e Montegalda, in provincia di
Vicenza.
In passato interessava buona parte dei Comuni del Basso Vicentino, in cui, nel periodo invernale, si effettuava la
transumanza delle greggi montane. Parallelamente le stalle delle case contadine vedevano sempre la presenza, accanto
alla vacca, di almeno una o due pecore: gli allevamenti transumanti erano principalmente da lana (anche se una
piccola produzione di formaggio vi era sempre) mentre le pecore delle famiglie contadine servivano per latte, lana e
carne.
In particolare: Sino agli inizi dell’800 nel Veneto venivano allevate diverse razze o popolazioni autoctone con dei
caratteri morfologici e genetici ben definiti, che consentivano di identificarne anche i diversi indirizzi produttivi. Vi
erano, infatti pecore a triplice attitudine (lana, carne e latte). In quell’epoca, e fino ai primi anni ’90 del nostro secolo,
venivano allevati essenzialmente due diversi tipi di pecore: quelle di pianura, che si possono identificare con quella
Padovana, e quelle di montagna. La pecora Padovana, classificata a triplice attitudine”…”Il suo allevamento, che nel
‘700 si estendeva anche nel Vicentino e nel Veronese con una consistenza di oltre 100.000 capi, si era ridotto nel 1930
a qualche migliaio di capi, localizzati principalmente nei territori di Este, Montagnana, e Noventa Vicentina.”…“Era
nota, in particolare, l’avversione degli allevatori di pianura ai pastori di montagna”… “dopo l’allevamento degli
agnelli, le pecore venivano munte per circa quattro mesi, con una produzione di 150-200 litri di latte. Il latte era
impiegato per uso domestico o trasformato in formaggio che, essendo molto ricercato dai consumatori veneti, veniva
venduto ai piccoli commercianti del luogo. La pecora Padovana veniva allevata anche in provincia di Vicenza e
particolarmente a Noventa Vicentina, dove era conosciuta con il nome di Noventana, che si differenziava per la
maggior mole mantenendo sostanzialmente le altre caratteristiche produttive e riproduttive.” Da “L’allevamento ovicaprino
del Veneto”.

Descrizione sintetica del prodotto
E’ prodotta con latte intero pecorino e vaccino, che vengono lievemente termizzati a 60 gradi centigradi per 3 minuti.
Si aggiunge caglio di stomaco di agnello. La salatura avviene a secco.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura                                                                                                                                                                                                                Le componenti vanno miscelate in una percentuale di 20% di latte di pecora e 80% di vaccino.
Il latte, per i formaggi freschi, va riscaldato nella calièra fino ad una temperatura di 30-35°C (più bassa la temperatura
più si conserva molle la pasta), allorché la calièra viene allontanata dal fuoco; vi si aggiunge allora il caglio, càjo (per
il latte di pecora o di capra si usava anche l’erba caglio, il Gallium verum L.). Quando il latte coagula (in circa 12
minuti), la massa viene rotta e poi sminuzzata con lo spino, prima in maniera grossolana e successivamente ripresa
fino a raggiungere pezzetti della dimensione voluta: per il formaggio tenero fresco i pezzi devono raggiungere la
grandezza di una noce (per lo stagionato come un chicco di riso perché spurghi meglio l’acqua). La calièra va quindi
riportata sul fuoco, rialzando la temperatura a 33°C, per 5-6 minuti in modo che i grumi caseosi, continuamene
rimescolati con un mèscolo o con la rissòla, cuociano saldandosi assieme. Dopo aver ravvivato il fuoco, si stacca
nuovamente la calièra da esso e si lascia riposare per 10 minuti, per favorirne l’agglomerazione in un unico blocco
spugnoso in fondo al recipiente. La cajà è cotta e, recuperata con le mani dal fondo del recipiente, viene posta nelle
fassàre, stampi usualmente da mezzo chilo o da chilo, effettuando una pressatura sulla superficie (sempre con le
mani). Una volta si metteva prima su di una tela affinché scolasse e gli stessi stampi venivano riposti su dei pezzi di
tela grezza di modo che il formaggio spurgasse lateralmente. Dal siero restante si può ricavare una particolare ricotta
di misto pecora.

Quando c’è molto latte si fa più di una cottura. Si procede alla salatura delle forme: su entrambe le superfici viene cosparso il sale.                                                                                                                                Il formaggio viene lasciato sotto sale per circa 12 ore (il c.d. covèrcio de sale) e tolto dalle fassàre dopo 48. Si lascia quindi maturare,                                                                                                                        con l’accortezza di rivoltare le forme per i primi 15 giorni. Dopo una settimana forma la gròsta, dopo di che si può lavare la forma,
anche più volte, per pulirla dallo scolo residuo. Il misto pecora fresco sarà pronto in 60 giorni.
Risulta più o meno piccante a seconda dello stadio di maturazione e può continuare la sua maturazione anche fino a tre
mesi, dopo di che si considera “stagionato”; può conservarsi a lungo, fino anche a 12 mesi (perdendo la qualifica
di “fresco”). La variante fresca, tra i pecorini, gode attualmente di una particolare fortuna nel mercato.
Il miscelare latte vaccino al latte di pecora consente di soddisfare quella parte consistente del mercato che non
gradisce l’accentuato gusto del pecorino (o ai quali è semplicemente sconosciuto), permettendo un prodotto di gusto
più neutro che però conserva, seppur attenuate, le particolarità organolettiche e nutritive del formaggio pecorino e
consente un prezzo più contenuto.

Indicare materiali ed attrezzature specifiche utilizzati per la preparazione e il condizionamento del prodotto
Calièra, caldaia in rame, pentola per riscaldare il latte. Oggi si tende ad utilizzare caldaie a doppio fondo
riscaldando il latte con del vapore per garantire una omogeneità di calore.
Rissòla o rodèa, bastone a disco con il quale il latte si rimesta nella caldaia. Comunemente sostituito
anche da un normale mèscolo si legno.
Spìno, bastone di legno al quale si applica una spirale di metallo con, alla base, una punta.
Trìso, (a volte utilizzato) lungo mestolo a cui sono applicati due traversi, fra i quali sono tesi fili di ferro oppure
bastone a cui sono applicati aculei di metallo.
Fassàre (o scòrzi) fasce di legno flessibile che si chiudono a cerchio in modo da avere un diametro variabile.
Alte circa 12 cm, possiedono una cordicella esterna che ne chiude la circonferenza. Altrimenti comunemente
si utilizzano stampi a forma fissa da mezzo chilo, da chilo o anche da due chili.
Tovaglioli di tela grezza eventuali (una volta di crine di cavallo).
Scansìe sono i ripiani dove si ripongono le forme a maturare. Il legno rispetto all’acciaio ha il pregio di
assorbire l’acqua spurgata dal formaggio in maturazione; la stagnazione di acqua a contatto con il formaggio,

possibile con ripiani di acciaio, gli conferisce un lieve sapore amaro che contrasta il caratteristico sapore dolce
del Formaggio misto pecora fresco dei Berici.

Descrizione dei locali di lavorazione, conservazione e stagionatura
I locali di cottura e lavorazione del Formaggio misto pecora fresco dei Berici sono piastrellati, muniti di ripiani in metallo                                                                                                                                              lavabili e di pavimento anch’esso lavabile. Le stanze di maturazione e conservazione del pecorino fresco debbono essere                                                                                                                                        fresche (10-12°C) e garantire un’umidità relativa intorno al 70-80 %: ciò consente che non si verifichino rotture nella crosta.

Indicare gli elementi che comprovino che le metodiche siano state praticate in maniera omogenea e secondo
regole tradizionali per un periodo non inferiore ai 25 anni
“Accanto a quello transumante, nel vicentino si praticava anche l’allevamento stanziale che, secondo le anagrafi
(censimenti) venete del tardo ‘700, riguardava circa 80.000 capi, prevalentemente nella fascia collinare e valliva della
provincia. Nel 1775 si contarono, nei 14 distretti del territorio (altopiano escluso), 64.390 pecore “terriere”, mentre
quelle dell’Altopiano dei Sette Comuni, e svernanti in pianura, erano 27.052. La maggior parte delle pecore montane
si concentrava nella bassa vicentina, in particolare nel Vicariato di Camisano, dove si trovava un terzo dei capi, e nel
Vicariato di Barbarano, con il 12% del totale.”…”L’allevamento delle pecore autoctone era legato prevalentemente
alla produzione della lana, anche se i pastori spesso pagavano una parte dell’affitto dei pascoli con formaggio, ricotta e
qualche agnello.” Da “L’allevamento ovi-caprino nel Veneto”. La transumanza nel Basso Vicentino comportava la
classica modalità di pascolare le greggi c.d. in posta: i proprietari concedevano ai pastori il permanere sul loro terreno,
corrisposti da un compenso che consisteva, secondo le consuetudini, in qualche agnello e un quantitativo prefissato di
prodotti caseari (altre volte bastava il solo concime che le greggi lasciavano al loro passaggio). Per il Basso Vicentino
si debbono citare le generazioni di pastori Palma, oggi residenti nei Comuni di Longare e Montegalda.
Con il passare del tempo avveniva anche che pastori, transumanti dalle montagne vicentine, si stabilissero nel Basso
Vicentino stabilendo nella zona anche un allevamento con una, seppur limitata produzione casearia. E’ il caso, per
esempio, di un certo Marini di Gallio, padre dei produttori Leonello e Giorgio, attualmente residenti ad Orgiano, che
agli inizi del secolo si stabilì in quel di Albettone. I figli hanno continuato l’attività di pastorizia, prima transumante e
poi stanziale (greggi che si spostavano di pochi chilometri) con la relativa, seppur modesta e per consumo domestico,
produzione di formaggio misto pecora.

Accanto ai fenomeni produttivi legati alla pastorizia transumante, vi era la significativa presenza, nel Basso Vicentino,
degli allevamenti stanziali, diffusi in quantità modeste nelle case contadine ma anche in agglomerati più consistenti. In
questo caso si deve far riferimento all’antica e documentata esistenza della pecora Noventana, sopra citata: la razza di
pecora allevata in pianura ( “di pianura”) consentiva una discreta produzione di latte e di formaggio, accanto alla, pur
rilevante, produzione di lana e carne.
Il formaggio misto pecora fresco è presente nel territorio da molto tempo perché dove vi era produzione di pecorino vi
era quella del misto pecora. Addirittura si può supporre che il prodotto in questione sia più antico: nelle case
contadine vi era sempre l’allevamento, accanto a quello delle pecore, di qualche mucca, con una relativa produzione di
latte più cospicua di quella pecorina; il risultato era quello di una maggior convenienza nel miscelare i due con una
quantità di latte vaccino maggiore.

Le stalle delle case contadine vedevano sempre la presenza, accanto
alla vacca, di almeno una o due pecore: gli allevamenti transumanti erano principalmente da lana (anche se una
piccola produzione di formaggio vi era sempre) mentre le pecore delle famiglie contadine servivano per latte, lana e
carne.