Fragola delle Dolomiti bellunesi

La fragola delle Dolomiti bellunesi è un dolce prodotto agroalimentare tradizionale italiano (P.A.T.) della Regione Veneto 

Categoria
Prodotti vegetali allo stato naturale o trasformati.

Nome del prodotto, compresi sinonimi e termini dialettali
Fragola delle Dolomiti bellunesi

Territorio interessato alla produzione (specificare i singoli Comuni)
L’area interessata è l’intera provincia di Belluno, con i suoi 69 Comuni. Le aree di maggiore
diffusione sono dunque il feltrino, l’agordino e l’alpago.

Descrizione sintetica del prodotto (indicando le materie prime impiegate)
La fragola delle Dolomiti bellunesi che si è diffusa in coltivazione nell’area delle Dolomiti Bellunesi,                                                                                                                                                                              appartiene alla famiglia delle Rosacee e la specie base è la Fragaria vesca L..Le piante coltivate sono poi selezioni di varie                                                                                                                                      specie del genere fragaria e talvolta ibridi. Accanto a queste selezioni invece, alcune aziende locali propongono la
quindi fragolina di bosco, caratteristica varietà selezionata molto simile per gusto e profumo alle “vicine”
fragole spontanee del sottobosco, con cui dividono il medesimo ambiente e clima.
Proprio le caratteristiche montane dei siti di coltivazione (vicinanza a boschi e dunque zone ombreggiate
e fresche) e la loro elevata naturalità, fanno si che la fragola delle Dolomiti bellunesi presenti un buon
livello qualitativo, quindi facilmente riscontrabile dalle analisi sensoriali.
Nella formazione delle caratteristiche organolettiche (dolcezza, acidità, aroma, profumo) incide infatti
molto il clima e le sue particolari condizioni quali le forti escursioni termiche giornaliere. Al di là delle
varietà utilizzate, interessante appare anche l’alto livello qualitativo del colore della polpa e la giusta
consistenza della stessa.
Predominante e tradizionale, è la coltivazione delle fragole rifiorenti, semi-precoci e con frutti di
pezzatura media.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura
Le aziende agricole della montagna bellunese che si dedicano alla coltivazione della fragola, sono in
massima parte aziende di piccole dimensioni, organizzate per la vendita diretta e per l’agriturismo. La
coltivazione, nella stragrande maggioranza viene effettuata con il metodo integrato, con limitato utilizzo
di sostanze di sintesi chimica e quindi con un basso livello di impatto ambientale.
La coltivazione avviene per lo più in pieno campo, in porche pacciamate a strisce e dotate di impianti di
irrigazione tramite manichette semplici. Nelle piccole aziende, la fragola è coltivata anche in coltura
protetta, con tunnel coperti a film di materiale plastico, steso su archi in metallo. Nelle aziende più
specializzate, come peraltro già pesantemente presente in tutte le realtà produttive nazionali, sono
riscontrabili talvolta alcune produzioni fuori suolo in sacchetto.
La raccolta manuale avviene sull’intera stagione estiva e autunnale, in funzione delle varietà coltivate.

Indicare materiali ed attrezzature specifiche utilizzati per la preparazione e il condizionamento
del prodotto
Il prodotto è raccolto manualmente a più riprese, riposto in cestini, sistemati poi in plateaux all’ombra.
Considerate le piccole dimensioni aziendali dei produttori, il prodotto non è sottoposto ad alcun tipo di
condizionamento.

Descrizione dei locali di lavorazione, conservazione e stagionatura
La fragola della montagna bellunese, è destinata preferibilmente al consumo fresco e dunque soggetta
alla vendita diretta, senza utilizzo di strutture di conservazione particolari, se non l’utilizzo di semplici
celle frigorifere.
Interessante appare l’impiego delle fragole bellunesi da parte delle locali pasticcerie e in particolare delle
tradizionali gelaterie bellunesi.
Anche la trasformazione in confettura, per lo più curata da aziende artigiane, risulta molto interessante
per una buona valorizzazione del prodotto.

Indicare gli elementi che comprovino che le metodiche siano state praticate in maniera
omogenea e secondo regole tradizionali per un periodo non inferiore ai 25 anni.
Le fragole hanno da sempre suscitato l’interesse del contadino e del montanaro che, potendone disporre
senza sforzo o impegno per coltivarle in quanto specie spontanee, ha imparato a servirsene. Il suo
consumo è testimoniato nell’area dolomitica bellunese da innumerevoli ricette per la produzione
soprattutto di dolci, torte, crostate, succhi e confetture.
Meritevole di citazione appare il listino prezzi d’una importante azienda agricola “cesiolina” redatto in
data 8 marzo 1868 da Pietro Bavero, giardiniere, a Menin di Cesiomaggiore (BL), del Conte Gaspare De
Mezzano, in cui, accanto a peri e pomi, si promuovono ciliegi, cornioli, cotogni e fragole 1.
Dagli anni sessanta l’interesse per i piccoli frutti in genere e per la fragola in particolare, arrivò anche
nelle città, suscitando un brusco innalzamento della domanda. Così nell’area bellunese, proprio per
soddisfare tale nuova richiesta di consumo, per riqualificare professionalmente gli emigranti nel settore
dell’agricoltura e per assecondare le nuove regole dettate dall’entrata dell’Italia nel MEC, furono fatti i
primi tentativi di promozione della coltivazione della fragola in un’ottica di moderna frutticoltura.
A favore dello sviluppo della coltura della fragola c’erano poi anche altri motivazioni: l’amplissimo
ambiente di adattamento e la locale grande vocazionalità dell’ habitat naturale, il reddito molto alto a
breve scadenza e la possibilità di inserimento in aziende agricole quale attività collaterale e di
integrazione al reddito2.

Nel periodico mensile “L’Agricoltura Bellunese” dell’Associazione Provinciale Allevatori di Belluno e
dell’Ispettorato Agrario di Belluno, già nel 1961 si riportano sia articoli tecnici su “L’impianto della
fragolaia” sia sulla “Coltivazione della fragola”, proponendo anche nuovi ibridi quali la fragraria vesca
o fragola di bosco e la fragraira virginica o americana3. Sempre nello stesso periodico, viene riportata in
prima pagina la notizia dell’importante incontro svoltosi a Lamon alla fine del 19724, in cui si
suggerivano nuove forme di sviluppo per l’agricoltura locale, citando in primo luogo l’importanza e
l’opportunità della coltivazione delle fragole.
La locale realtà agricola, non mancò all’appuntamento e sorsero in quegli anni nuove aziende agricole e
cooperative di produttori di fragole e piccoli frutti.
Nel 1974 a Faller di Sovramonte, ad un’altitudine di 800 m, venne realizzato il primo fragoleto da
Mansueto e Claudio Slongo: l’anno successivo su una superficie di 1000 mq produsse 14 q di fragole e
nel 1976 oltre 15 q5. Proprio in questa realtà la Comunità Montana Feltrina ebbe modo anche di
organizzare incontri tecnici per divulgare ad altri locali produttori la fattibilità e economicità della
coltivazione.

Dal 1974 al 1986 la superficie coltivata a fragola passò da 1 a 8 ettari e la produzione raggiunse i 101
quintali nel 1978, i 535 nel 1982 e i 1.624 nel 19866.
Sorsero esperienze in tutta la provincia di Belluno, dal feltrino, all’agordino, all’alpago, alla Val Boite, al
comelico. Importanti sono state ad esempio la Cooperativa “La Montanara” di Feltre che contava su 22
soci produttori, sorta nel 1979 con l’aiuto dell’Ispettorato Agrario Provinciale e di alcuni studenti di
agraria e altre realtà cooperativistiche e associative sorte a Agordo, in Val Belluna e in Alpago. Queste
realtà associative ebbero il grande merito soprattutto di divulgare la coltivazione delle fragole e dei
piccoli frutti, ma hanno purtroppo in questi ultimi anni ceduto il posto ad individualismi produttivi,
oppure sono state positivamente inglobate in altre realtà cooperativistiche e associative agricole.
La coltivazione dei piccoli frutti si è comunque dimostrata una valida alternativa all’integrazione del
reddito aziendale, soprattutto in zone tradizionalmente turistiche, che facilitano la collocazione del
prodotto sul mercato.

Isbrec – Agostino Amantia – Cesiomaggiore Identità e storia di una comunità. Cesiomaggiore 2002. pp.360-361
2 Daniele Gazzi, La diffusione della coltivazione della fragola nella montagna bellunese – Feltre febbraio 2006
3 La coltura della fragola” in “L’Agricoltura Bellunese”, XIII n. 8, 1 agosto 1962.
4 Fagioli, fragole e coniglio in rassegna a Lamo” in “L’Agricoltura Bellunese”, XXIII n. 1, 1 gennaio 1973.
5 Marino Giazzon, Faller. Storia di una comunità, Feltre (BL) 1986, pp. 175-176.

La fragola che si è diffusa in coltivazione nell’area delle Dolomiti Bellunesi, appartiene alla famiglia
delle Rosacee e la specie base è la Fragaria vesca L..Le piante coltivate sono selezioni di varie specie del
genere fragaria e talvolta ibridi. Accanto a queste selezioni, alcune aziende locali propongono la
fragolina di bosco, caratteristica varietà selezionata molto simile per gusto e profumo alle “vicine”
fragole spontanee del sottobosco, con cui dividono il medesimo ambiente e clima.
Proprio le caratteristiche montane dei siti di coltivazione (vicinanza a boschi e dunque zone ombreggiate
e fresche) e la loro elevata naturalità, fanno si che la fragola della montagna bellunese presenti un buon
livello qualitativo, facilmente riscontrabile dalle analisi sensoriali.
Nella formazione delle caratteristiche organolettiche (dolcezza, acidità, aroma, profumo) incide infatti
molto il clima e le sue particolari condizioni quali le forti escursioni termiche giornaliere. Al di là delle
varietà utilizzate, interessante appare anche l’alto livello qualitativo del colore della polpa e la giusta
consistenza della stessa.
Predominante e tradizionale, è la coltivazione delle fragole rifiorenti, semiprecoci e con frutti di
pezzatura media.