Mame d’Alpago

Le Mame d’Alpago sono un prodotto agroalimentare tradizionale italiano (P.A.T.) della Regione Veneto tipico della provincia di Belluno

Categoria
Prodotti vegetali allo stato naturale o trasformati.

Nome del prodotto, compresi sinonimi e termini dialettali
Mame d’Alpago

Territorio interessato alla produzione (specificare i singoli Comuni)
Le Mame d’Alpago, sono coltivate nella area compresa nel territorio della Comunità Montana
dell’Alpago e precisamente nei Comuni di Puos, D’Alpago, Farra d’Alpago, Chies d’Alpago, Pieve
d’Alpago e Tambre d’Alpago.

Descrizione sintetica del prodotto (indicando le materie prime impiegate)
Le Mame d’Alpago sono un agro-ecotipo di fagiolo (Phaseolus vulgaris) a consumo prevalente
sottoforma di granella secca. Caratteristica distintiva di questo ecotipo è la colorazione nocciola chiaro
uniforme dei semi e la forma evidentemente schiacciata oblunga-compressa. Tale agro-ecotipo è stato
accuratamente caratterizzato, dal punto di vista sia botanico che agronomico, attraverso vari studi condotti
dall’Istituto Agrario IPSAA di Feltre e, nell’anno 2001, anche dall’Istituto del Germoplasma del CNR di
Bari.
Le principali caratteristiche botaniche dell’ecotipo (IBPGR – FAO) sono le seguenti:

pianta annuale, rampicante;
apparato radicale fittonante; germinazione epigea;
fusto di altezza media di circa 250 cm, accrescimento indeterminato, mediamente con 4-5 branche
per pianta;
abito di crescita indeterminato con abilita’ rampicante e baccelli distribuiti uniformemente sulla
pianta, accrescimento sinistrorso, abbisogna di sostegni;
foglie composte pennato-trifogliate, margine intero, color verde intenso;
infiorescenza in racemo, ascellare, di colore bianco;
baccello classico a due valve, omogeneamente distribuito sulla pianta, di colore verde allo stato
fresco e giallo-ocra-nocciola allo stato secco, a forma di pera, moderatamente arcuato e di lunghezza
di circa 14 cm;
 semi mesospermi, con peso di circa 0,65 g, sono presenti mediamente 6 semi per baccello, di forma
schiacciata oblunga-compressa, colore biancastro-nocciola chiaro uniforme, ilo convesso bianco
aureolato di rosso;

Tra i parametri correlati alle caratteristiche culinarie, è riconosciuto il sapore delicato e raffinato, l’elevata e
spiccata digeribilità e l’ottima attitudine ad essere utilizzato in deliziose creme di fagioli.
Tali proprietà sono da imputarsi anche alle ottime caratteristiche della buccia, estremamente fine.
L’omogeneità di imbibizione del seme prima della cottura, il tempo di cottura ridotto, la conservazione
dell’integrità del seme dopo cottura e la bassa percentuale di tegumento giustificano il tradizionale ottimo
giudizio dato dai consumatori e dai cuochi.
Tale ecotipo è stato riconosciuto meritevole, da parte dell’Istituto del Germoplasma del C.N.R. di Bari, di
analisi e approfondimenti tecnici. Risulta incluso, con il nome di “mame” nel sito relativo
http://www.ba.cnr.it/~germap14/ilcb/ven/fs_veneto.html.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura
Le tecniche di coltivazione delle Mame d’Alpago, non hanno subito negli ultimi cinquant’anni, particolari
mutamenti o evoluzioni. Sostanzialmente le pratiche colturali si sono tramandate immutate nel tempo. La
stessa selezione massale dei semi, si perpetua secondo le conoscenze popolari.
In sintesi si propongono le principali tecniche praticate:
Forme di allevamento. Sono utilizzate le tradizionali e classiche tecniche locali di coltivazione del fagiolo
rampicante. Non si sono rilevate evoluzioni nelle tecniche colturali.
Si utilizzano per lo più sistemi di coltivazione in cui i tutori sono rappresentati da sostegni in legno di
nocciolo o bambu’, disposti a due, tre o quattro uniti all’apice tra loro (sistema a filare semplice, piramide e
capannina), e talvolta si utilizzano reti in plastica in tensione tra pali.
E’ meno diffusa anche la classica forma di consociazione con il mais.
Semina. La semina è praticata mediamente nella prima decade di maggio, utilizzando circa 5-6 semi per
postarella e per ogni tutore utilizzato.

Cure colturali e difesa. I metodi di coltivazione attuati per questo fagiolo, risultano coincidenti o molto
somiglianti a quanto dettato dai disciplinari di produzione dei prodotti biologici. In zona, per tale fagiolo, è
praticamente assente la tecnica del diserbo chimico. Opportuna e praticata è la difesa fitosanitaria, in
particolare per la lotta all’antracnosi, per la quale le mame risultano sensibili. Come da tradizione i
trattamenti fitosanitari sono rappresentati da interventi a base di rame e in particolare a base di poltiglia
bordolese. E’ frequente l’utilizzo di letame e talvolta l’uso di concime ternari quali 8-24-24 in quantità molto
modeste. Non si rilevano assolutamente forme di concia del seme per semina.
Miglioramento genetico: Sebbene trattasi di una pianta autogama, sono frequenti se coltivati nelle prossimità,
forme di incroci con altre varietà. Si riscontrano soprattutto incroci con le varietà di fagiolini.
Raccolta e produzione: La raccolta del prodotto secco avviene solitamente nel mese di settembre ed è
esclusivamente manuale . La maturazione dei baccelli risulta non omogenea e necessita dunque di vari
passaggi tra le piante per la raccolta di tutti i baccelli secchi.
Il livello produttivo ettaro, alle condizioni di coltivazione tradizionale, è stimabile in 2,5 t/ha di seme secco.

Indicare materiali ed attrezzature specifiche utilizzati per la preparazione e il condizionamento del
prodotto
I fagioli sono raccolti scalarmente dalla pianta quando è avvenuta l’essiccazione completa del baccello.
Successivamente l’essiccazione viene completata attraverso l’esposizione naturale al sole.
Lo sbaccellamento viene eseguito a mano o con semplici macchinari di antica tradizione denominati
localmente “ventolon”.
La vendita tradizionale, anche attualmente, avviene a prodotto sfuso, senza alcun trattamento post-raccolta e
non necessita di stagionatura. E’ d’obbligo solo la perfetta essiccazione naturale del prodotto.
Negli ultimi tempi, per ovviare a tale problema, è frequente la conservazione dei semi, (sia per il consumo
alimentare che per la semina) in frigo-congelatore, per almeno 4 –5 giorni.

Descrizione dei locali di lavorazione, conservazione e stagionatura
I fagioli sono tradizionalmente essiccati al sole, stesi in apposti teli in cotone, juta o canapa e poi conservati
in sacchi di tela.

Indicare gli elementi che comprovino che le metodiche siano state praticate in maniera omogenea e
secondo regole tradizionali per un periodo non inferiore ai 25 anni.
Nei primi anni sessanta del ’900, con le nuove regole di politica agricola (MEC), si rese necessario rilanciare
determinate colture e si avviarono politiche di sostegno a colture che avevano saputo sfamare e garantire
anche un reddito ai contadini bellunesi come quella del fagiolo. Fu il dottor Nino Rizzotto a farsene carico1:

Il suo lavoro teso al recupero e potenziamento di una varietà ritenuta la più importante, quella del fagiolo di
Lamon, se da un lato fu all’origine della fortuna moderna di tale fagiolo2, dall’altro mise in ombra e fece
dimenticare, a livello di promozione agronomica, altre varietà, altrettanto diffuse in contesti provinciali
diversi. E’ il caso dei fagioli della famiglia dei Bonelli, il fagiolo per eccellenza nell’area di Fonzaso ed in
quella, al lato opposto della vallata feltrino-bellunese, dell’Alpago, indicati rispettivamente con il nome bonèi
de Fondaso e mame d’Alpago.

Tralasciando l’introduzione e la diffusione della pianta, sulla quale peraltro, caso abbastanza raro,
disponiamo di una documentazione molto solida e di recente riproposta3, negli ultimi due secoli la coltura del
fagiolo è riuscita sia sfamare molti contadini, sia a garantire alle famiglie un reddito; tale coltura infatti non
era destinata, come altre, a fermarsi entro la cerchia dell’autoconsumo familiare.

La prima delle fonti classiche per l’agricoltura, l’inchiesta promossa dall’agronomo Filippo Re, così presenta
all’inizio dell’800 lo stato della coltura nel Feltrino: “I nostri fagioli bianchi sono molto ricercati, e danno un
riflessibile commercio attivo al paese. Si traducono per Piave a Venezia, indi si imbarcano per Cadice, e
Lisbona ecc”4. Nell’elenco del commercio della provincia del 1833, i fagioli figurano come genere
d’esportazione5 e nel 1880, parlando dei fagioli, Riccardo Volpe, segretario della Camera di commercio ed
Arti di Belluno, li definisce un’ “Importante merce di esportazione”6. Quest’ultimo richiama genericamente
la loro estrema varietà e afferma che vi è una certa regressione delle varietà bianche, che risulterebbero meno
resistenti al clima della provincia. La centralità del fagiolo bianco è sottolineata anche dal possidente Antonio
Maresio Bazolle: “Io credo che il vero fagiolo originario bellunese sia quello che ora qui è detto bonello,
perché esso è quello che venne seminato in maggiore quantità… Questo fagiolo è lunghetto, un poco
schiacciato e di colore bianco latte… Dall’istesso nome di nostran si rileva … che questo deve essere l’antico
nostro fagiolo”7. Inoltre Bazolle, verso il 1888, dichiara che “I fagioli sono l’unico grano di esportazione dal
bellunese”.

Per questa ragione sono presenti nel listino commerciale dei mercati di Belluno e di Feltre negli anni ’80
dell’800 distinti in bonelli e ballini8. Nel 1910 e fino alla guerra il listino distingue tra bonelli – balle –
mandole; nel 1923 scompaiono le mandole e compaiono i sanguigni. Nel 1932 il listino del mercato
bellunese distingue tra due gruppi: “fagioli scritti bellunesi” (le vecchie balle) e “fagioli bonelli e mamme”.
A livello documentario il silenzio delle fonti circa i nomi dei fagioli contrasta con la loro rilevanza
agronomica e commerciale. Il fatto si può spiegare con la peculiare modalità di produzione della semente:
“La conservazione delle sementi locali è stata fino a qualche decennio fa una complessa e articolata
‘produzione di natura’ da parte dei contadini e delle contadine, a pieno titolo oggi definiti ‘produttori di
biodiversità’, artisti creatori perché capaci di creare-produrre la biodiversità. La conservazione delle sementi
locali, si potrebbe dire ‘famigliari’ in quanto sementi ‘della famiglia’, era al centro della produzione e della
conservazione delle biodiversità, e tale è stata fino alla introduzione nel mercato degli ibridi e alla perdita
della biovarietà locale”9.

Se queste sono le modalità di selezione, conservazione e diffusione delle sementi, appare chiaro che è la
tradizione orale piuttosto che la documentazione scritta che può con maggior precisione riferire i nomi e le
zone di diffusione di una determinata varietà, e la tradizione orale è concorde nell’indicare l’Alpago come
2 In una delle aree tipiche nel Bellunese per la coltivazione del fagiolo e nelle mame, un ecotipo accanto ai fagioli
Lamon, Gialét, Bonèi, Bale rosse, Regina, S-ciosèle10.
Ai fini del presente lavoro importa rilevare l’associazione fatta nel richiamato listino tra i due termini di
bonello e mamma, indice di una terminologia diversa per indicare una medesima varietà. Generalmente nel
mondo contadino la denominazione di piante, colture, prodotti è estremamente varia: non c’è però campo
dove la varietà sia superiore a quello del fagiolo e dove uno stesso termine indichi a distanza di pochi
chilometri varietà diverse. Non c’è paese che non abbia le sue mame: questo è forse il termine più generico
nella denominazione dei fagioli. Il fagiolo bonello nella zona di Fonzaso è rimasto con il suo antico nome,
anzi si è legato indissolubilmente al suo paese, tanto da essere indicato come i bonei da Fondaso ed essere
registrato in un dizionario del dialetto locale: “bonèl, qualità di fagioli, a pianta bassa o rampicante, con seme
giallo, allungato e schiacciato”11. In Alpago invece è diventato la mama d’Alpago: oltre la tradizione orale,
concorde nell’indicare con questo nome la varietà dei bonèi, il legame tra bonelli e mame scoperto nel listino
del 1932 del mercato cittadino di Belluno. La particolare vocazione del territorio alla produzione di fagioli
era sottolineata nella relazione della Camera di commercio del 1834, nella quale si precisava che tutti e
cinque i comuni dell’Alpago erano deficitari in quanto a frumento e a granoturco, che importavano dal
Trevigiano, ma risultavano attivi per la produzione di fagioli e per gli animali, “unici articoli che portano un
vantaggio”. Dato che il commercio era in mano a carrettieri di Revine Lago questo spiega la diffusione della
medesima varietà della mama e nell’Alpago e nel pedemonte trevigiano.

Che il fagiolo caratterizzasse la cucina alpagota è ricordato nel suo libro da Rino Dal Farra: “durante e verso
la fin de la seconda guera mondiale, e anca subito dopo, al ‘piato tipico’ dei Pagòti l’era ‘polenta e formai’ e
‘minestra de fasioi’. Che magnade de minestra!”12
Altre note e testimonianze.
Per il fagiolo Mame d’Alpago, nonostante le difficoltà nel reperire fonti bibliografiche scritte, presenta
fortissime e sicure testimonianze orali.
Anche dal punto di vista gastronomico, le mame d’Alpago sono molto conosciute ed apprezzate. I più
importanti ristoranti dell’Alpago, segnalati e consigliati dal “Gambero rosso” non mancano di presentare le
famose creme di fagiolo con le Mame d’Alpago.
Significativo è il fatto ad esempio che il notissimo ristorante Locanda San Lorenzo di Puos d’Alpago,
presenti tra i piatti tipici la crema di fagiolo “Mame d’Alpago”.
Altrettanto significativa è l’indicazione che fornisce il Ristorante Al Borgo di Belluno, che accanto ai famosi
Fagioli di Lamon non dimentica “Un altro fagiolo tipico ma poco conosciuto è le “mame di montagna”
caratteristico di Farra d’Alpago (20 km. da Belluno) e pregevole per la buccia finissima”.

 

1 Nino Rizzotto, La produzione di semente selezionata del fagiolo diLamon, in “Agricoltura delle Venezie”, marzo
1961: resoconto sulla sperimentazione condotta sulle varietà Spagnolo, Spagnolìt, Calonega e Canalino o Furianoi

2 In realtà la commercializzazione su ampio raggio del fagiolo di Lamon fu opera del commerciante Antonio Pante “Tona” di Lamon,
che tra le due guerre ha fatto conoscere il fagiolo fuori dal Veneto (Paolo Conte, Lamon: profilo storico di una Comunità di confine,
Belluno 2003, p.51.
3 Marco Perale, Milacis cultus aperire paramus,
4 Dell’Agricoltura del Distretto di Feltre, Dipartimento della Piave, in Annali dell’Agricoltura del Regno d’Italia, Filippo Re, Milano
1812, p 53.
5 Antonio Lazzarini, Fonti per la storia dell’economia bellunese. I primi rapporti della Camera di Commercio, Belluno 2004, p. 54.
6 Riccardo Volpe, Terra e agricoltori, Belluno 1880, p. 84.
7 Antonio Maresio Bazolle, Il possidente bellunese, 1868-90, a cura di Daniela Perco, Feltre 1986, II, p. 47.
8 “L’Agricoltura ed il Commercio della Provincia di Belluno”. Pubblicazione periodica del Comizio Agrario e della Camera di
Commercio ed Arti di Belluno, VI n. 8. 1880.
9 Nadia Breda, Il fagiolo inscritto, in “La ricerca folklorica Erreffe”, n. 47, aprile 2003, p. 47-58.

10Il fagiolo, in Comunità Montana Val Belluna,Valorizzazione di specialità locali dell’agricoltura minore, 2001, pp. 40-46.
11 Angelo Vigna, Patuà fondasin, Libreria Pilotto Editrice, Feltre 2000, p. 34: si tratta di una nuova edizione del libro apparso per la
prima volta nel 1979.
12 Rino Dal Farra, furigàr e balegàr, Seren del Grappa (BL) 1997, p. 67.

Le Mame d’Alpago sono un agro-ecotipo di fagiolo (Phaseolus vulgaris) a consumo prevalente
sottoforma di granella secca.