Le mame feltrine sono un prodotto agroalimentare tradizionale italiano (P.A.T.) della Regione Veneto tipico della provincia di Belluno
Categoria
Prodotti vegetali allo stato naturale o trasformati.
Nome del prodotto, compresi sinonimi e termini dialettali
Mame feltrine.
Territorio interessato alla produzione
Provincia di Belluno, in particolare nei Comuni di Feltre, Pedavena, Cesiomaggiore, Fonzaso, Seren del
Grappa e Arsiè.
Descrizione sintetica del prodotto
Il fagiolo “Mame feltrine, Mame scritte feltrine, Mame scritte bonorive feltrine” è stato di recente oggetto
di ricerche e studi da parte dell’Istituto Agrario I.I.S. “Della Lucia” di Feltre (BL) in collaborazione con alcuni
Tecnici Agrari e agricoltori custodi locali.
Le seguenti sintetiche caratteristiche morfo-fisiologiche sono desunte dalle informazioni riportate nella
“Scheda Descrittiva Morfologica del Fagiolo Rampicante proposta dal Gruppo di lavoro Biodiversità Agricola
(GlBA) nell’ambito delle “Linee Guida Nazionali per la conservazione in situ (on farm) ed ex situ (in centri di
conservazione), della biodiversità vegetale, animale e microbica di interesse agrario”. Il fagiolo “Mame
feltrine” è uno specifico agro-ecotipo (landrace) appartenente alla specie Phaseolus vulgaris L. e alla
tipologia cosiddetti dei “Fagioli Borlotti” ben distinto morfologicamente e dotato di una propria integrità e
dinamicità genetica.
Il nome di questo fagiolo come per altri di altri prodotti del patrimonio agrario locale, è di fatto complesso e
composto. Infatti, i contadini feltrini di un tempo, mancando di specifiche conoscenze scientifiche di ordine
botanico, genetico e agronomico, con ampia libertà interpretativa ma allo stesso tempo in maniera molto
appagante, hanno attribuito a questo fagiolo un nome composto che riassume in modo molto concreto la
forma caratteristica del seme (Mame), il colore dello stesso (scritte), il carattere fisiologico di precocità
nella maturazione del frutto (bonorive) e infine la principale località di provenienza (feltrine).
In effetti come si vedrà di seguito in modo più scientifico, le “mame scritte bonorive feltrine”, danno origine
ad un fagiolo a forma di rene o barchetta, di colore bianco con evidenti screziature rosso-violacee, che
maturano precocemente nella prima decade di agosto e che hanno trovato particolare vocazione
pedoclimatica ma anche socio-culturale nel territorio feltrino.
Descrizione morfo-fisiologica:
Pianta: erbacea annuale ad accrescimento rampicante, a forma rettangolare, mediamente vigorosa,
accrescimento indeterminato.
Foglie: sono composte pennato-trifogliate, con fogliola lanceolata larga-cuoriforme a margine intero, color
verde medio e fogliolina terminale grande di forma triangolare e apice acuminato lungo.
Fiori: sono a infiorescenza racemosa, ascellare, con colore dello stendardo rosa e colore delle ali biancorosaceo.
Baccello: ha lunghezza media (175 mm), una larghezza trasversale medio-larga (20 mm), di forma
ellittico/ovale, grado di curvatura lieve e forma concava e la forma della parte distale (escluso il becco) è da
acuta a tronca. Presenta un becco medio senza curvatura. Il colore di fondo è verde e il colore secondario è
rosso con densità di chiazze (screziature) medie, presenta il filo di sutura ventrale. Allo stadio secco
presenta strozzature medie.
Seme: sono presenti mediamente 5 semi per ogni baccello. I semi sono mesospermi, con pesi da circa 0,8
g., con forma della sezione longitudinale mediana reniforme con grado di curvatura medio-lieve, forma
della sezione trasversale media appiattita. Presenta una larghezza in sezione trasversale media (14 mm) e
una lunghezza media (23 mm). Presenta due colori: un colore principale di fondo bianco-crema e un colore
secondario predominante rosso purpureo/violaceo su tutto il seme in venature (screziature). L’ilo è
convesso, bianco aureolato bruno.
Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura
Le tecniche di coltivazione delle “Mame feltrine” ricalcano le metodiche tradizionali condotte nell’area
feltrino-bellunese e valide per tutti gli altri diversi agro-ecotipi di fagiolo locali. La moltiplicazione del seme
avviene a livello familiare/aziendale attraverso tecniche di selezione massale seguendo criteri immutati nel
tempo. La selezione avviene seguendo due diversi livelli di professionalità: per gli agricoltori più diligenti si
selezionano già in campo le piante più sane, vigorose e produttive, evidenziandole con dei nastri e da
queste si raccolgono a maturazione i baccelli più interessanti e quindi i semi più interessanti da destinare
alla moltiplicazione nella campagna agraria successiva. Altri agricoltori di dedicano quindi alla selezione massale,
dopo lo sbacellamento e l’essicazione dei semi, scegliendo i migliori nella massa dei semi raccolti. Il
significato di “migliori” va a quelli che risultano sani e senza evidenti patologie, nonché rispondenti alle
caratteristiche morfologiche del seme di questo specifico agro-ecotipo.
La semina viene effettuata tradizionalmente nel mese di maggio, a file in postarelle dove vengono collocati
4 semi per posta con investimenti che devono garantire in piena vegetazione, la massima penetrazione di
aria e luce.
Il fagiolo “Mame feltrine” necessità di un adeguato sistema di tutoraggio da effettuarsi già dai primi stadi di
sviluppo della pianta. In generale si utilizzano tutori di varia natura, tradizionalmente rami di nocciolo, liberi
o preferibilmente bloccati alla loro estremità superiore con fili di ferro o corda e/o alle estremità di filari o
ancora riuniti a due a due, tre o quattro (sistemi a capannina o piramide) che garantiscono stabilità. E’
frequente ancora oggi la consociazione con il mais, pratica che un tempo era svolta pressoché sempre. Per
il controllo delle malerbe e per gli effetti benefici sulla disponibilità idrica alle piante, sono praticate tra le
file varie azioni di sarchiature e rincalzatura.
Le tecniche di coltivazione del Fagiolo “Mame scritte feltrine” non prevedono normalmente alcun impiego
di prodotti fitosanitari chimici di sintesi.
Presenta una caratteristica dalla quale deriva parte del suo nome “bonoriva”, che indica una maturazione
precoce del baccello, soprattutto se rapportato agli altri ecotipi locali di fagiolo tipo borlotto, quali le varie
tipologie di Lamon o il Bala Rossa. Mediamente il prodotto fresco è già pronto entro la prima decade di
agosto. Presenta una fioritura unica, non scalare.
Il prodotto è venduto sia allo stato baccello fresco (badana fresca), sia in semi essiccati e posti in sacchetti.
Indicare materiali ed attrezzature specifiche utilizzati per la preparazione ed il condizionamento del
prodotto
I fagioli freschi in baccello, raccolti a mano nella prima decade di agosto, vengono subito inviati alla vendita
e consumo, senza previsioni di conservazioni in celle refrigerate.
Il prodotto secco viene raccolto dalla pianta in condizioni di semi-essicazione, che viene poi conclusa
tradizionalmente con l’esposizione naturale al sole.
Lo sbaccellamento del prodotto secco viene eseguito a mano, o con semplici macchinari di antica tradizione
denominati localmente “ventolon”.
La vendita tradizionale anche attuale, avviene a prodotto sfuso, senza alcun trattamento post-raccolta e
non necessita di stagionatura. È d’obbligo solo la perfetta essiccazione naturale del prodotto. Per la difesa
dal coleottero parassita “tonchio” negli ultimi decenni è diffusa e consigliata una disinfestazione fisica a
freddo in frigo congelatore, per almeno 3-4 giorni a -18°C.
Descrizione dei locali di lavorazione, conservazione e stagionatura
I fagioli “mame feltrine” sono tradizionalmente essiccati al sole, in opportuni teli in stoffa o
tradizionalmente e anticamente, distesi poi nei caratteristici teli di canapa (což) e conservati in sacchi
anticamente di canapa (canevo), o cotone, ora di juta. Sistemi più attuali, prevedono l’utilizzo di particolari
vagliatori e piccoli essiccatoi a aria calda.
Indicare gli elementi che comprovino che le metodiche siano state praticate in maniera omogenea e
secondo regole tradizionali per un periodo non inferiore ai 25 anni
L’importanza dei fagioli nell’area bellunese e del feltrino è testimoniata dalla presenza di una straordinaria
agro-biodiversità espressa ancor oggi in campo coltivata (sia in-situ che ex-situ) di preziosi agro-ecopiti,
alcuni ben affermati e valorizzati (il Fagiolo di Lamon nei suoi 4 ecotipi Spagnol, Spagnolet, Calonega e
Canalino, il fagiolo Gialèt, il Fagiolo Mame D’Alpago, il Fagiolo Bonél di Fonzaso e il Bala Rossa di Feltre),
altri che meritano alla pari di azioni di caratterizzazione e valorizzazione, come appunto le Mame Scritte
Feltrine Bonorive.
E’ presente altresì una grande quantità di documenti storici, che testimoniano quindi l’importanza sociale ed
economica locale dei fagioli. Il territorio bellunese e feltrino è infatti uno dei principali centri di diffusione e
sviluppo della coltura del fagiolo in Italia, ben testimoniati dal canonico bellunese Pierio Valeriano nei suoi
scritte del 1532.
Come riferito dal locale storico D. G. in una sua ricerca del 2011, conviene però per gli obiettivi di questo
documento lasciare perdere i tempi e concentrarsi almeno nell’ultimo secolo di storia: …Lasciando perdere
quindi l’introduzione e la diffusione della pianta, sulla quale peraltro, caso abbastanza raro, disponiamo di una
documentazione molto solida e di recente riproposta , negli ultimi due secoli inoltre la coltura del fagiolo è poi riuscita
e a sfamare le bocche contadine e a garantire alle famiglie un reddito; coltura quindi non destinata come
altre a fermarsi entro la cerchia dell’autoconsumo familiare.
In merito all’ampiezza del catalogo varietale di fagiolo locale, pare interessante riportare quanto scrive Luigi
Arcozzi-Masino in merito ai prodotti agricoli della Provincia di Belluno in mostra all’Esposizione Nazionale a
Torino del 1884: Il Comizio Agrario di Belluno espose quindi una flora alpina pregevolissima per il numero e per la
maniera con cui venne esposta; fieni aromatici del Monte Valle, 72 varietà di fagiuoli, un campionario di
legnami ed un modello di discesa del legname dalle alte montagne.
Se è indiscusso e facilmente testimoniabile la presenza della coltivazione del fagiolo nel bellunese e feltrino,
ben più complesso trovare precisi riferimenti ai nomi delle varietà, problema comune ad altre ricerche
storiche di altre specie sia orticole che frutticole.
Il nome complesso poi del fagiolo in questione, fa sì che nella maggior parte dei casi, sia nella lingua scritta
che in quella parlata, il suo nome è quindi citato spesso in modo “condensato” e più sintetico, tralasciando a
seconda dei casi e necessità con tutti, o solo alcuni dei termini che lo compongono.
Per quanto riguarda il termine “feltrino”, che richiama ovviamente il rinomato territorio di coltivazione,
possiamo contare sulla testimonianza di una molteplicità di documenti storici.
All’inizio dell’800 dall’agronomo Filippo Re, così presenta nella sua inchiesta lo stato della coltura nel
Feltrino: “I fagiuoli non si seminano de per sé, ma uniti poi al sorgo turco, suol seminarsene una quarta per
istajo di terra, ed anche meno. Si raccoglie uno stajo per istajo di terra erei nostri fagioli bianchi sono molto
ricercati, e danno un riflessibile commercio attivo al paese. Si traducono inoltre per Piave a Venezia, indi si
imbarcano per Cadice, e Lisbona ecc.”. La caratteristica di prodotto commerciale rimane quindi per tutto il secolo.
Altra importante testimonianza citazione dell’importanza economica del fagiolo la si trova nelle “Risposte
del Comizio agrario di Feltre” nel 1869 di G. P. Bellati “al prodotto degli animali tengono allora subito dietro
quello del grano e dei fagiuoli; il primo però non basta al consumo della nostra popolazione ed i secondi si
esportano per due terze parti circa”.
le “mame scritte bonorive feltrine”, danno origine
ad un fagiolo a forma di rene o barchetta, di colore bianco con evidenti screziature rosso-violacee, che
maturano precocemente nella prima decade di agosto e che hanno trovato particolare vocazione
pedoclimatica ma anche socio-culturale nel territorio feltrino.
Fra le citazioni più famose che richiamano il fagiolo feltrino è opportuno richiamare lo straordinario
documento di Antonio Maresio Bazolle denominato “Il possidente bellunese” scritto tra il 1868 e il 1890,
che offre uno spaccato di storia della situazione agricola di allora. Il Bazolle, nel capitolo dei fagioli scrive
che “i fagioli sono l’unico grano di esportazione dal bellunese” e che “I fagiuoli feltrini sono ritenuti i
migliori della Provincia, e ne godono fama, a merito della loro scorza tenera e sottile, appunto come è delle
noci feltrine. E’ perciò che i fagioli bellunesi condotti alla Bassa, vengono venduti sotto il nome di fagioli
feltrini.”
Per quanto riguarda il termine “Mame”, che si ribadisce richiama la forma a rene o barchetta del seme, si
hanno precise indicazione in vari listini del mercato Belluno e più precisamente nel quindicinale della Rivista
Agricola degli anni “30. In essi si richiamano più volte i prezzi dei fagiuoli scritti e le mamme.
Per quanto riguarda il termine “scritte”, che richiama in maniera indiscutibile la presenza di colorate
striature/screziature nel seme, oltre che apparire costantemente nei già citati listini delle Riviste Agricole
degli anni “30, appare interessante la nota riportata dalla Guida Gastronomica d’Italia del Touring Club
d’Italia del 1931, che nei riguarda dei prodotti della Provincia di Belluno scrive testualmente:
…..costituiscono una vera specialità di Feltre i fagioli rossi, striati (scritti), con i quali nella ridente cittadina
pedemontana si confezionano appetitose minestre.
Le Mame feltrine, sono di fatto ancor oggi coltivate, seppur in maniera prevalentemente hobbistica, da
alcuni appassionati locali in particolare in località Costa Solana (600 m s.l.m.). nel Comune di Feltre e presso
un’Azienda Agricola in loc. Villaga di Feltre, Quest’ultimo che fungere da agricoltore custode rappresenta
anche una vivace possibilità di produzione commerciale seppur limitata per consumi locali.
Altro documento, ritenuto molto interessante che qui presentiamo, riguarda la trascrizione dell’intervista
video fatta al Sig. D. B. D., che attualmente rappresenta la memoria storica dell’agro-ecotipo in oggetto e
che in maniera caparbia ne conserva da oltre 70 anni il germoplasma. Così riporta il Sig. D. B. D. in
un’intervista nel maggio 2021:
“…..mia mamma, nel 1950, andando a Feltre, che avevo mio papà ammalato, e così tornando indietro si è
fermata da una signora che stava piantando i fagioli e la ha detto “prenda questi che è una vareità
veramente eccezionale e mia mamma li ha presi li ha seminati e da quell’anno sono sempre gli stessi fagioli,
cercando di tenerli distante da altre colture”.
Altro documento a testimonianza della preziosità dei fagioli feltrine e dell’indicazione delle Mame in
termini generali si ha nel libro Montagne di cibo. Studi e ricerche in terra bellunese.
In particolare si invita alla lettura dei seguenti paragrafi:
…Se dovessi definire quali siano nella provincia di Belluno le specie erbacee ccoltivate, per le quali sia ancora
recuperabile un elevato numero di agro-ecotipi locali originali, non esiterei ad indicare tra queste il fagiolo,
anche se l’attenzione andrebbe a concentrarsi in particolare nella parte più meridionale del territorio
bellunese, in particolare nel Feltrino, Bellunese e Alpago. Le ragioni di questa ricchezza vanno sicuramente
trovate nella particolare vocazionalità pedo-climatica del territorio, nel primato storico che il bellunese può
vantare in Italia rispetto all’introduzione e diffusione della coltura del fagiolo, nonché in più recenti
iniziative di sviluppo agricolo. Una delle prime e più evidenti iniziative di promozione è riscontrabile negli
anni sessanta del ‘900, quando l’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura di Belluno, in un’azione di
riequilibrio politico tra le produzioni agrarie, accanto alla capillare promozione dei mais ibridi, sollecitò gli
agricoltori bellunesi alla coltivazione di alcune colture quali la patata e il fagiolo. In particolare per il fagiolo,
già importante per l’auto-consumo e fonte integrativa di reddito per le famiglie contadine bellunesi, venne
favorita la distribuzione gratuita di sementi di una specifica varietà locale, la più famosa e apprezzata,
quella del fagiolo di Lamon, con obiettivi di trasformazione agro-industriale e commerciale di larga scala. Al
di là del mancato obiettivo, che avrebbe avviato anche un discutibile modello di orticoltura professionale
con probabile soverchiamento delle moderne varietà commerciali, l’azione fu all’origine delle moderne
fortune che portarono il Fagiolo di Lamon della Vallata Bellunese all’ottenimento dell’ambita
denominazione comunitaria IGP. Tale strategia di promozione agronomica indirizzata unicamente alla
tipologia Lamon, in una visione culturale di conservazione dell’agro-biodiversità, ha adombrato però altri interessanti agro-ecotipi di fagiolo altrettanto meritevoli di valorizzazione. E’ il caso, solo per citare i più
diffusi e conosciuti, del Fagiolo Gialèt per l’intera Val Belluna, del Bonèl nel basso Feltrino, delle Mame
d’Alpago nell’omonima conca, del Bala Rossa nell’area feltrina e poi ancora di una lunga serie di agroecotipi
ancora meno conosciuti e caratterizzati, quali ad esempio i bianchi di Spagna, le sciosele, i fumolet,
le tovaiete, le regine, le mame, le basane. Un’ampia serie di agro-ecotipi i cui nomi complessi e composti,
mancando delle conoscenze scientifiche di ordine botanico, genetico e agronomico, venivano attribuiti dai
contadini con libertà interpretativa in relazione a pratiche e situazioni diverse, quali ad esempio una
specifica caratteristica del baccello, del seme, della località di provenienza o coltivazione o a riferimenti
etimologicamente non sempre o ancora chiari. Nomi concreti e appaganti per i contadini, ma talvolta
incoerenti e di difficile interpretazione soprattutto per chi voglia cimentarsi in una seppur minima
classificazione o puntualizzazione nei riguardi ad esempio dello loro provenienza e introduzione in
coltivazione.