L’Orzo agordino è un prodotto agroalimentare tradizionale italiano (P.A.T.) della Regione Veneto tipico della provincia di Belluno
Categoria
Prodotti vegetali allo stato naturale o trasformati.
Nome del prodotto, compresi sinonimi e termini dialettali
Orzo Agordino.
Territorio interessato alla produzione (specificare i singoli Comuni)
L’area tradizionale di coltivazione è costituita dall’intera area dolomitica della provincia di Provincia di Belluno,
comprendendo in particolare nella Val Belluna la destra orografica del fiume Piave, tutta l’area della Val Cordevole, la
Val Zoldana, l’Ampezzano, il Cadore ed il Comelico. In particolare, la sua coltivazione era molto diffusa nel
comprensorio dell’Alta Val Cordevole e dell’Agordino, da cui ha ereditato il nome. Nell’ultimo ventennio la
coltivazione dell’orzo ha trovato nuovo vigore e interesse nella zona pedemontana della Val Belluna a ridosso del
Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi, dove sono riscontrabili superfici agrarie più fertili e più facilmente
meccanizzabili e dove si è sviluppata una realtà associativa cooperativa in cui vengono promosse e valorizzate colture
tradizionali locali.
Descrizione sintetica del prodotto (indicando le materie prime impiegate)
Con la definizione di “orzo agordino” si intende uno specifico orzo appartenente alla Famiglia delle Poaceae, Genere
Hordeum, Specie Hordeum vulgare L. subsp. Distichum L.. Tale specifico ecotipo è stato raccolto e donato dall’
l’Istituto Professionale di Stato per l’Agricoltura e l’Ambiente “Antonio Della Lucia” di Feltre e ed è conservato
presso la Banca del Germoplasma dell’Istituto di Genetica e Sperimentazione Agraria “N. Strampelli” di Lonigo con
numero accessione ITA0340369. Nella realtà tradizionale agricola locale, tale ecotipo è talvolta surrogato e associato
in coltivazione con analoghe varietà molto simili incrociate tra loro, tutte strettamente rispondenti al tipo originario,
comunque necessariamente di tipo “distico” e a “semina primaverile”.
Da un punto di vista botanico e agronomico l’orzo in questione può essere così sinteticamente descritto:
Descrizione della pianta: altezza di cm 103, portamento eretto, forma di crescita determinata, foglie parallelinervie,
alterne e nastriformi;
Descrizione botanica della spiga: forma distica, con spighette appressate ed erette, portamento leggermente curvato,
aristatura presente, con spiga di colore bianco e con 35 semi per spiga;
Descrizione botanica della cariosside: forma allungata, di colore bianco, vestita e peso di 1000 semi pari a g. 58
Aspetti agronomici: danni da freddo quasi assenti, tolleranza all’oidio (Erysiphe g.) e con epoca di spigatura precoce.
L’“orzo agordino” nella sua peculiarità di ecotipo, ma ancor più nella sua tipologia e metodologia di produzione e
trasformazione in decorticato, è citato nel Documento normativo di integrazione (parte XI del D.G.R. 2931 del 3
ottobre 2003) del Piano di Sviluppo Rurale delle Regione Veneto, quale varietà particolarmente meritoria di tutela e
valorizzazione per le elevate caratteristiche qualitative.
Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura
Da un punto di vista agronomico, la tecnica di coltivazione dell’orzo agordino segue le tecniche cerealicole bellunesi e
venete, caratterizzate da una bassa, se non totale, assenza d’impiego di mezzi tecnici di sintesi chimica. Ciò è
determinato da una pregevole situazione che abbina una rusticità delle varietà utilizzate, alle condizioni pedoclimatiche
particolarmente adatte alla coltivazione dei cereali minori. La semina, a spaglio o a
righe, viene normalmente effettuata da fine marzo fino a fine aprile, in relazione alle condizioni agronomiche del
terreno. La raccolta, viene effettuata normalmente dalla prima decade di luglio fino a fine agosto, in relazione dell’esposizione
e altitudine della coltivazione. E’ effettuata tradizionalmente a mano, ma negli ultimi decenni vengono possibilmente
utilizzate, quando possibile, anche mietitrebbiatrici con cui si raccolgono le cariossidi, che vengono essiccate in granai
al sole e all’aria. Suddette variazioni sono determinate da fatto che la coltivazione avviene in campi che vanno dai 500
metri s.l.m. della Val Belluna, anche ai 1700 metri s.l.m. delle vallate e zone più montane dell’alto cordevole, zoldano
e cadore.
Secondo le tradizionali tecniche di coltivazione, la pianta viene sfalciata manualmente quando non è ancora
completamente secca. Successivamente allo sfalcio, le piante vengono raccolte in fasci e disposte sul campo in modo
da formare un “treppiede” a forma di covone. Questi covoni rimangono nel campo per la prima essicazione, in seguito
vengono portati in appositi balconi al sole e poi nei granai per l’eliminazione dell’umidità residua. Successivamente
avviene la trebbiatura (battitura) a mano con l’uso del correggiato, un particolare attrezzo di legno di acero e abete
(freu a Livinallongo, ferél a Colle, fraél in Ampezzo).
L’Orzo agordino viene tradizionalmente “decorticato a pietra” per la preparazione delle immancabili e caratteristiche
minestre d’orzo, che rappresentano il primo piatto più tipico e rinomato della cucina delle Dolomiti Bellunesi.
Come riferito, non si parla affatto di “orzo perlato” ma esclusivamente di “orzo decorticato a pietra”.
La decorticazione viene ancora effettuata esclusivamente in pochissimi molini attraverso una abrasione meccanica
delle cariossidi, con antiche attrezzature e rulli in pietra del tutto particolari, denominati “pilaorzo” o “pestino a mole”
o in dialetto “pesta orz”.
Il pilaorzo è costituito da un contenitore circolare in pietra, di porfido o granito, avente la parte centrale rialzata e
forata, entro cui vi è inserito un albero che presenta a livello del contenitore un asse orizzontale regolabile, alle cui
estremità vi sono due “mole” folli. Perpendicolarmente all’ asse delle due mole, vi è un altro asse che sostiene ad una o
ad entrambe le estremità una lama in ferro, “raschiatoio”. L’orzo viene versato sul fondo della vasca di pietra.
Azionando il sistema, l’albero e quindi le due mole iniziano a girare in modo lento e regolare; il movimento delle due
mole genera un rimescolio elicoidale dei grani da pestare, ulteriormente spostati dal “raschiatoio”. I vari movimenti e
gli urti contro le pareti della vasca portano alla decorticatura finale.
La resa produttiva con tali attrezzature è tale da ottenere quantità lavorate di circa soli 100 kg al giorno. L’abrasione
meccanica deve essere sapientemente eseguita, tanto da far perdere i tegumenti esterni, mantenendo nel contempo
parte del pericarpo, dello strato aleuronico, di piccolissime parti di glumelle nel solco ventrale e parti dell’embrione.
Tale lavorazione, a differenza di una perlatura, permette di ottenere un prodotto più ricco in fibra e nutrienti in genere
(infatti la maggiore parte dei nutrienti dei cereali sono collocati negli strati esterni del seme a ridosso del pericarpo).
Con questa paziente operazione inoltre si ottiene un prodotto che in cottura rimane di una corretta consistenza e non si
spappola anche nella ricottura.
Anche l’interesse per il malto d’orzo è sempre stato marcato, soprattutto nel recente passato, per la produzione della
birra. La famosa e attuale “Birra Pedavena” con l’omonimo stabilimento di produzione, poteva contare un tempo quasi
esclusivamente dell’orzo agordino locale. Dalla zona di Canale d’Agordo, ove è nata la birreria della Famiglia
Luciani, lo stabilimento si è spostato poi a Pedavena, dove ora con la proprietà della Ditta Castello, dopo un ventennio
di proprietà Heineken, potrà dare nuovo lustro alla locale coltivazione d’orzo agordino, con il recupero della vecchia e
artigianale birra Pedavena.
Attualmente sono a disposizione numerosi elementi riguardanti l’orzo agordino, scaturiti da recenti studi e progetti, i
quali hanno evidenziato le caratteristiche del prodotto dal punto di vista botanico, agronomico e etnobotanico.Gli Enti
ed Associazioni e relativi progetti ed interventi che si sono occupati dell’orzo Agordino sono i seguenti:
Il Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi in collaborazione con il Museo Etnografico della Provincia di
Belluno e IPSAA “A. Della Lucia” di Feltre si sono occupati di questo prodotto con il progetto P.O.R.
Leader Plus – Piano di Azione Locale – GAL Prealpi e Dolomiti Bellunesi, ed in particolare con l’Azione 3 –
Promozione dell’identità culturale e locale. In tale studio si è raccolto materiale riguardante la
caratterizzazione botanica e agronomica dell’orzo agordino.
L’Istituto di Genetica e Sperimentazione Agraria “N. Strampelli” di Lonigo (VI) nell’ambito del progetto
L.R. n. 5/2000 “Interventi per la tutela e conservazione delle antiche varieta’ cerealicole venete” v° anno, ha
contemplato l’orzo agordino tra i prodotti meritevoli di essere conservati presso la propria Banca del
germoplasma e citati nel sito web regionale http://www.biodiversitaveneto.it/. (Anno 2004-2005).
Altri dati tecnici e informazioni sono riportate nel libro: “Cereali del Veneto” a cura di M. Bressan , L.
Magliaretta e S. Pino edito in collaborazione con la Regione Veneto.
Indicare materiali ed attrezzature specifiche utilizzati per la preparazione e il condizionamento del prodotto
Il prodotto, una volta decorticato, deve essere posto ancora per qualche giorno al sole e all’aria per eliminare l’acqua e
l’umidità che ha assorbito durante il processo di decorticazione. Successivamente il prodotto deve essere
accuratamente vagliato per eliminare eventuali impurezze (pietruzze, pagliuzze, impurezze varie) nonchè la “farina”
prodotta dal procedimento di decorticazione. L’orzo decorticato, una volta essiccato e setacciato, come tutti i cereali,
se riparato da parassiti e patogeni vari e se conservato in luogo arieggiato e secco, può conservarsi inalterato per
parecchi mesi, senza alcuno trattamento di condizionamento.
Descrizione dei locali di lavorazione, conservazione e stagionatura
I locali di lavorazione sono rappresentati dai già citati antichi molini, l’appropriata conservazione richiede
unicamente locali e recipienti di conservazione puliti, asciutti e areati.
Indicare gli elementi che comprovino che le metodiche siano state praticate in maniera omogenea e secondo
regole tradizionali per un periodo non inferiore ai 25 anni.
La coltivazione dell’orzo, e in particolare dell’orzo agordino, vanta nell’area dolomitica bellunese una tradizione
secolare, in particolare per riguarda il consumo umano del prodotto decorticato. Numerose sono le citazioni in vari
testi, libri e riviste sia dal punto di vista storico che culinario. Particolare interesse, desta lo studio delle tradizioni
locali delle locali comunità ladine e con esse il recupero delle tradizioni rurali.
Per la presente scheda, in maniera riassuntiva ci sembra opportuno ed efficace citare quanto scritto nell’opera di fine
ottocento di Antonio Maresio Bazolle “Il possidente Bellunese”. Si tratta di un’opera manoscritta tra il 1868 e il 1890
(oltre mille pagine di scrittura minuta e fitta) conservata alla Biblioteca civica di Belluno e recentemente trascritta
(1986) in due volumi a cura di Daniela Perco. Una interessantissima ed comprovata opera che offre uno spaccato di
storia bellunese, con particolare riguardo alle tematiche legate ai contadini, braccianti, malgari, con il loro sapere, le
loro tecniche e i loro comportamenti. Nella Sezione Seconda, il Bazolle riporta le varie coltivazioni in uso in quel
tempo e dedica un capitolo specifico all’orzo. Si citano di seguito alcuni passaggi che comprovano la tradizione di
questo cereali nell’area bellunese.
e) Dell’orzo. A differenza del frumento e della segale, l’orzo viene seminato in primavera. ………… La qualità
dell’orzo qui usuale è quella la cui spiga ha quattro righe; talvolta però si semina anche di quello a due righe
soltanto, e che è quello che si usa nell’agordino. Quest’ultimo orzo ha il grano più grosso dell’altro, e così ha la
paglia più consistente, ma tutto calcolato il tornaconto sta ancora per l’orzo nostrano. Si aggiunga che per seminare
l’orzo da due righe bisogna far venire la semente dall’agordino, e questa costa cara, perché colassù si esige sorgo
turco per orzo, peso per peso; e l’orzo agordino seminato qui si imbastardisce coll’orzo nostrano, per cui bisogna
sempre rinnovare la semente. …………….. L’orzo non è utilizzato riducendolo a farina come il frumento o la
segale, ma viene mangiato in grano, adoperandolo a farne minestre, e cioè tanto da solo, come mescolato con fagioli.
Questa minestra è specialmente buona se vi si immette a candirla qualche pezzo di carne di maiale, ed è salutare
perché rinfrescante. I contadini ne fanno grande uso, mentre le classi elevate mostrano di non degnarsene. Per essere
mangiato in minestra, il grano dell’orzo deve essere liberato dalla buccia che lo ricopre, deve essere cioè, pilato.
Questa operazione è quindi fatta dal mugnaio che vi ha un apposto ordigno. ………
L’orzo più bello, più grosso, e più netto che si trova qui è quello che viene dall’Agordino,e che è portato qui pilato e
pronto ad essere condito a minestra. ………..
Con la definizione di “orzo agordino” si intende uno specifico orzo appartenente alla Famiglia delle Poaceae, Genere
Hordeum, Specie Hordeum vulgare L. subsp. Distichum L.. Tale specifico ecotipo è stato raccolto e donato dall’
l’Istituto Professionale di Stato per l’Agricoltura e l’Ambiente “Antonio Della Lucia” di Feltre e ed è conservato
presso la Banca del Germoplasma dell’Istituto di Genetica e Sperimentazione Agraria “N. Strampelli” di Lonigo con
numero accessione ITA0340369. Nella realtà tradizionale agricola locale, tale ecotipo è talvolta surrogato e associato
in coltivazione con analoghe varietà molto simili incrociate tra loro, tutte strettamente rispondenti al tipo originario,
comunque necessariamente di tipo “distico” e a “semina primaverile”.