Tartufo nero dei Berici

Il tartufo nero dei Berici è un prodotto agroalimentare tradizionale italiano (P.A.T.) della Regione Veneto tipico della provincia di Vicenza

Categoria
Prodotti vegetali allo stato naturale o trasformati

Nome del prodotto, compresi sinonimi e termini dialettali
Tartufo nero dei Berici.

Territorio interessato alla produzione
Nella provincia di Vicenza le zone tartuficole sono ubicate in prevalenza nel settore orientale dei Monti Lessini e
sui Colli Berici. Sui Colli Berici le tartufaie di Tartufo nero dei Berici  più produttive sono sul versante orientale, a Nanto e nei limitrofi
Comuni di Arcugnano, Longare, Castegnero, Mossano, Barbarano Vicentino, Villaga e Zovencedo. La
produzione dei Berici si aggira intorno ai 13 quintali annui

Descrizione sintetica del prodotto
La specie di prevalente interesse è il tartufo nero estivo, o scorzone, cui si affianca il tartufo uncinato, da
taluni considerato varietà del precedente, da altri specie autonoma (presenti ma in quantità poco significative
T. Melanosporum, T. Macrosporum e T. Mesentericum). Lo scorzone, Tuber Aestivum Vittadini, è un tartufo
ad ampio spettro ecologico, molto adattabile sia per tipo di suolo, ferma restando la matrice calcarea, tanto da
trovarlo anche su terreni superficiali e sassosi, sia per clima, tollerando siccità e temperature che
risulterebbero fatali al più delicato T. Melanosporum.
Quanto alle piante simbionti, sui Colli Berici le tartufaie di Tartufo nero dei Berici ubicate nei pendii più asciutti sono all’interno di
boschi a roverella con carpino nero, ornello e castagno; quelle dei terreni più umidi, sono in boschi di carpino
nero con carpino bianco, farnia, nocciolo, ornello e acero campestre. Sotto queste piante la presenza dello
scorzone può essere evidenziata da caratteristiche aree prive di vegetazione, i cosidetti “pianelli” o “bruciate”
o “cave”, dovute ad emissione dei tartufi.
Il tubero estivo è di colore bruno nerastro, ha forma ovale o rotondeggiante, con grosse profonde verruche
screpolate agli angoli e forate alla sommità. La gleba è di colore grigio marrone, con venature bianche
numerose e ramificate, che scompaiono con la cottura. Normalmente le sue dimensioni non vanno oltre quelle
di una grossa mela ed ha profumo e sapore meno pronunciati delle altre varietà, caratteristici ma nel contempo
delicato, adatti per molti palati.

Descrizione delle metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura
Gli abbozzi dei carpofori si formano a metà febbraio e già a fine aprile si notano sulla superficie del suolo delle
screpolature dove emergono i primi tartufi; questa prima produzione di maggio-giugno fornisce però tartufi
poco profumati, che si degradano facilmente e non giungono mai a completa maturazione. Il grosso della
fruttificazione si ha da agosto a settembre, a condizione tuttavia che vi sia stata qualche precipitazione estiva.
Se non piove il luglio la crescita si arresta. In genere i corpi fruttiferi dello scorzone sono abbastanza
superficiali e addirittura raso al suolo se prodotti in terreni molto compatti. Essi, sviluppandosi, sollevano la
terra e formano caratteristiche fessure; altre volte nella tartufaia è visibile un vero e proprio anello con la terra
più o meno sollevata, provocato dai tartufi in crescita. Negli ambienti con densa vegetazione i corpi fruttiferi di                                                                                                                                                                Tartufo nero dei Berici si sviluppano per lo più isolati, mentre nei luoghi più assolati e in presenza di “pianello” sono
prevalentemente a gruppi.
Quanto a T. Uncinatum, che sembra preferire zone più ombrose e si manifesta con “pianelli” meno evidenti, i
primi carpofori cominciano ad apparire in giugno ma anche la loro maturazione dipende dalle piogge di
luglio; il grosso della produzione si ha in autunno da ottobre a novembre, e prosegue fino a gennaio e
febbraio.

La ricerca dei tartufi si effettua con l’ausilio di un cane addestrato allo scopo (solitamente cani da fiuto a pelo
ruvido, tra cui il Langotto romagnolo, unica razza riconosciuta dall’Ente Nazionale Cinofilia Italiana), e lo
scavo con un apposito attrezzo, vanghetto, con limitazione al punto individuato dal cane.                                                                                                                                                                                          (Tutto ciò perché i tartufi, giunti a maturità, non potendo diffondere le spore come fanno i funghi di superficie, diffondono il                                                                                                                                    loro spiccato aroma. Gli animali che ne vengono attratti se ne cibano disperdendo con le proprie deiezioni le spore
nel terreno per l’avvio di un nuovo ciclo.)
La coltivazione del tartufo nero pregiato (T. Melanosporum) può dirsi una realtà (mentre lo stesso non può dirsi
per il tartufo bianco, peraltro incompatibile con le condizioni pedoclimatiche dei Colli Berici). Si tratta di
tartufaie “coltivate”, cioè realizzate ex novo secondo criteri di razionalità agronomica, o “controllate”, cioè
tartufaie naturali migliorate da potature e diradamenti, e incrementate con la messa a dimora di un congruo
numero di piante tartufigene. Il vantaggio che se ne ricava non è solo in termini di raccolto ma anche di
allungamento del calendario, essendo il tartufo nero pregiato più tardivo rispetto allo scorzone, e di
remunerazione, per la migliore quotazione di quest’ultimo.

La parte mangereccia del tartufo è quindi la gleba, la polpa marmorizzata da venature sterili, e il suo gusto risente della
maturazione, della consistenza, della natura del suolo e dell’albero in cui vive.
Un ottimo impiego del fungo sono poi i cosiddetti prodotti tartufati: si va dal burro all’olio aromatizzati, dalla farina
da polenta al riso al tartufo, fino a prodotti più complessi come formaggi, paste e salse pronte all’uso.
Tutto questo fermo restando il ruolo trainante della ristorazione locale. E’ apprezzato gastronomicamente sia
crudo che cotto, in quanto mantiene inalterato il suo caratteristico profumo. La gastronomia vicentina, legata
com’è alla stagionalità e alle colture locali, ruota intorno allo scorzone. Il profumo dello scorzone è meno
penetrante di quello del Melanosporum ma ciò può essere perciò considerato un pregio per i palati non perfettamente
abituati al sapore intenso del tartufo; inoltre è un prodotto che più facilmente può nobilitare una larghissima
serie di piatti tipici dato che lo scorzone sa coniugare perfettamente la qualità ad un prezzo contenuto.
Tartufo alla Berica, dal ricettario dei principi Giovanelli, Lonigo, 1890 – Si puliscono i tartufi nella superficie
rugosa e si tagliano a fettine di una certa consistenza senza romperle. Si battano i rossi d’uovo in un piatto. Si
passano le fettine dorandole nel rosso d’uovo e si girano nel pane grattugiato con la farina. In burro
abbondante e ben caldo, poi, si friggono velocemente le fettine, che verranno, bollenti, collocate due per ogni
cotoletta alla milanese, oppure su dondoli di filetto cotto alla griglia. All’ultimo momento, sul piatto
preparato, si cosparge con qualche fiocco di burro, si riscalda in forno molto caldo e si toglie portando subito
a tavola

Tagliatelle al tartufo nero – Nell’acqua dove cuoceranno le tagliatelle, si pone quindi un grosso tartufo nero tagliato in
quattro pezzi, lasciandolo cuocere per tutto il tempo della cottura della pasta. In una padellina si fonde il
burro, friggendolo con uno spicchio d’aglio che verrà tolto prima di versare il composto. Si toglie il tartufo
cotto con l’acqua di ebollizione, che avrà intanto profumato delicatamente la pasta, e si passa al setaccio fino
a scioglierlo nel burro che cuoce. Altri due tartufi, ben puliti, si pongono per tre o quattro minuti a cuocere,
dimezzati, nel burro. Si servono infatti ben caldi in modo che le tagliatelle vengano consumate rimanendo ben calde.

Indicare materiali ed attrezzature specifiche utilizzati per la preparazione e il condizionamento del
prodotto
La ricerca dei tartufi si effettua con l’ausilio di un cane addestrato allo scopo (solitamente cani da fiuto a pelo
ruvido, tra cui il Langotto romagnolo, unica razza riconosciuta dall’Ente Nazionale Cinofilia Italiana), e lo
scavo con un apposito attrezzo, vanghetto, con limitazione al punto individuato dal cane. (Tutto ciò perchè i
tartufi, giunti a maturità, non potendo diffondere le spore come fanno i funghi di superficie, diffondono il loro
spiccato aroma. Gli animali che ne vengono attratti se ne cibano disperdendo con le proprie deiezioni le spore
nel terreno per l’avvio di un nuovo ciclo.)

Descrizione dei locali di lavorazione, conservazione e stagionatura
Il tartufo infatti, sia crudo che cotto, dev’essere consumato fresco di modo che mantenga sapore e profumo: si conserva,
per un periodo non superiore ai 10 giorni, in frigorifero, avvolto (ciascuno) in della carta assorbente,
all’interno di vasetti di vetro chiusi ermeticamente. Una volta qualcuno lo conservava nel riso ma assorbendo,
quest’ultimo, l’umidità interna del tartufo, tende a toglierne anche aroma.
Il grattugiare il tartufo nel burro e nell’olio possono farlo durare un po’ di più, conservato in un vasetto sotto
vuoto, al buio e, per quanto riguarda l’olio d’oliva, non in frigo di modo che l’olio non coaguli.

Indicare gli elementi che comprovino che le metodiche siano state praticate in maniera omogenea e
secondo regole tradizionali per un periodo non inferiore ai 25 anni
Numerosi sono poi i testi che citano la tipicità del Tartufo nero dei Berici anteriormente i 25 anni: nel’62 “Itinerari
Gastronomici Vicentini” si parla di particolari e rinomati tartufi di Nanto e dei Colli Berici, nel ’63 fa lo
stesso la “Settimana della Gastronomia Vicentina”, nel ’64 e nel ’66 citano i tartufi de Nanto due carte
gastronomiche del Vicentino. Inoltre la presenza e particolarità si ha anche dalla tradizione molto rinomata
del tartufo dei Colli Berici e dalla festa dell’Ulivo e del Tartufo dei Colli Berici che si tiene a Nanto nella
prima metà di Luglio.

Bibliografia essenziale
“Itinerari Gastronomici Vicentini” Eugenio Candiago – Edizioni T.E.V., Vicenza 1962 (seconda edizione).
“Bere e Mangiare nel Vicentino” Guida Enogastronomica a cura di Pierluigi Lovo e Maurizio Onorato –
Edizioni Scripta, Costabissara VI
“Settimana della Gastronomia Vicentina, 1-9 Giugno1963” Organizzata dall’Ente Provinciale per il
Turismo di Vicenza – Edito a cura dell’Ente Provinciale per il Turismo di Vicenza.
Carta Gastronomica del Vicentino a cura dell’Ente provinciale per il turismo – Verona 1964
Carta Gastronomica del Vicentino a cura dell’Ente provinciale per il turismo – Verona 1966
“I Funghi nella Cucina Veneta” Giovanni Capnist – Franco Muzzio Editore, Padova 1984

La specie di prevalente interesse è il tartufo nero estivo, o scorzone, cui si affianca il tartufo uncinato, da
taluni considerato varietà del precedente, da altri specie autonoma (presenti ma in quantità poco significative
T. Melanosporum, T. Macrosporum e T. Mesentericum).